
venerdì 16 luglio 2010
sabato 10 luglio 2010
sabato 3 luglio 2010
"A volte mi nascondo dietro ai miei -disegni- di fantasia perché sono un rifugio molto comodo e piacevole"


È dentro noi un fanciullino.
Noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell’angolo d’anima d’onde esso risuona.
Il giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo;
ché ne sdegna la conversazione, come chi si vergogni d’un passato ancor troppo recente.
Ma l’uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave;
e l’armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d’un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora.
Non l’età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l’altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell’anima .
In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro;
e forse è apparenza e credenza falsa.
Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni;
Ma i segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili.
Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere;
quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai;
quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei .
Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva
Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena.
Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo.
Egli fa umano l’amore, perché accarezza esso come sorella , accarezza e consola la bambina che è nella donna.
Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell’uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio dell’anima di chi più non crede, vapora d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora.
Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce.
E ciarla intanto, senza chetarsi mai;
e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente.
Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario.
E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità.
Impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare.
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